IL NONNO RACCONTA

Gli anziani autentica fonte della tradizione e dell’identità di un popolo

Il nonno racconta

Dall’età di 10 anni  ho iniziato a lavorare in campagna…… le famiglie allora erano numerose e, soprattutto, in quelle più bisognose lavoravano le donne e anche i bambini. “Il lavoro era costante nella vita dei fanciulli: fin dai 7 – 8 anni venivano utilizzati per custodire e condurre al pascolo animali, raccogliere erbe e frutti, all’età di 10 – 12 anni cominciavano ad aiutare nei lavori dei campi in mansioni di completamento a quelle degli adulti, dopo i 12 anni iniziavano ad arare e a zappare, finchè  raggiunti i 15 anni partecipavano a tutte le operazioni campestri. Strettamente collegata con la necessità del lavoro dei fanciulli era la diffusa evasione dell’obbligo scolastico; per molti di essi la scuola era un lusso che non potevano permettersi.

Circolavano pochi soldi e il salario giornaliero era a stento sufficiente per una famiglia con molte bocche da sfamare. Alcune donne trovavano lavoro come domestiche nelle case dei ricchi, svolgendo un mestiere per molti versi simile a quello cui avrebbero atteso fra le mura casalinghe se non avessero avuto bisogno di cercare lavoro “andando a servizio”; venivano assunte anche come giornaliere per la panificazione, per la raccolta delle olive o per svolgere certi lavori come la zappatura, il diserbamento, la pulitura del grano durante la ventilazione sull’aia. Le donne curavano anche la prole e, secondo le stagioni, si recavano a cogliere erbe selvatiche, fichi d’India e ghiande per il maiale; portavano al fiume la biancheria da lavare, andavano loro stesse o mandavano i bambini a portare l’acqua dalla fonte; cucinavano, rammendavano, filavano, tessevano. Era un vanto della donna bolotanese essere “affainada”, saper fare tutte le faccende di casa “totus sas fainas” comprese quelle di campagna.

Avevano anche i loro difetti: erano superstiziose, avevano un debole per il caffè, usavano spesso il tabacco da naso e, come tutte le donne, amavano le chiacchiere e i pettegolezzi.

Erano tempi duri, i pochi denari si spendevano per comprare i generi di prima necessità che non si producevano in loco, o per l’acquisto di qualche pezza di panno per confezionare i vestiti necessari alla famiglia. Durante il periodo della guerra le colture venivano abbandonate, i raccolti compromessi; molte famiglie vivevano di grosse ristrettezze, mancavano viveri e vestiario. Tutti i generi di prima necessità erano razionati e si doveva vivere con quel poco che si otteneva con la tessera fornita dal governo.

Ogni famiglia in base al numero dei componenti ritirava la sua porzione di grano, pane, latte, carne, olio,  tabacco, carbone……

Per non commettere illegalità due carabinieri stavano sempre di guardia al mulino o al frantoio. In tempi normali ogni famiglia faceva la raccolta del grano e dell’orzo necessaria alla preparazione del pane, della pasta e dei dolci.

Molte famiglie inoltre possedevano animali da cortile: era rara la famiglia dove non si allevavano il maiale, le galline, la capra.

Curiosità

Ogni famiglia, per poter avere giornalmente il latte fresco, possedeva una o più capre. Esse dormivano nelle stalle o nei cortili attigui alle case. Ogni mattina la padrona di casa o i figli accompagnavano le bestie al recinto pubblico, “sa mandra”, che si trovava alla periferia del paese, dove c’era il pastore ad attenderle. Quando le capre erano radunate, le conduceva al pascolo per tutta la giornata e le riportava in paese all’imbrunire, al suono dell’ Ave Maria. La sera ogni capra tornava nella propria casa senza guida. “Il ricordo dell’antico lavoro del contadino e dell’uso faticoso di tecniche e di strumenti tradizionali è ancora ben vivo nella nostra cultura.”